GALLERIA




MATTONELLA AL CUCCHIAIO

arte cibo e fantasia

15 ARTISTE, 15 MATTONELLE

Giovedì 8 dicembre 2022 dalle ore 17.00 sarà inaugurata a L’Aquila, Presso F’ Art Via San Francesco di Paola 13, l’Esposizione e vendita delle mattonelle di ceramica di 15 artiste internazionali che hanno interpretato il tema del cibo come territorio fisico e metaforico di incontri culturali, sociali e politici che vanno al di là del fattore nutrizionale. Le mattonelle, i cui multipli sono stati riprodotti in ceramica, saranno presentate in un packaging realizzato per l’occasione insieme al calendario con le ricette consigliate e amate dalle artiste per uno speciale regalo di buon auspicio del nuovo anno.

Nell’ambito delle attività dello spazio F’Art, l’evento d’arte Mattonella al cucchiaio - Arte, cibo, fantasia, a cura di Manuela De Leonardis si pone come obiettivo la raccolta fondi per opere di necessaria manutenzione del Mubaq, Museo dei bambini, Fossa -AQ-.

Il Mubaq con la sua Direttrice Lea Contestabile, è una realtà viva e propositiva sul territorio con molteplici attività nell’ambito della didattica dell’arte, con laboratori rivolti ai più piccoli e con sinergiche collaborazioni con artisti nazionali ed internazionali. Lo stesso museo è testimonianza di una significativa collezione di opere di arte visiva contemporanea. Da sempre spazio di scambio e confronto sul dibattito culturale artistico è una indiscutibile risorsa nell’intero panorama nazionale.

La cucina con la ritualità dell’accoglienza e la creatività dell’esperienza sensoriale, che unisce il dare e l’avere, è centrale nel progetto Mattonella al cucchiaio. Arte, cibo e fantasia che vede il coinvolgimento delle artiste:

Sonja Alhäuser, Primarosa Cesarini Sforza, Lea Contestabile, Cristiana Fasano, Angela Ferrara, Licia Galizia, Stella Gallas, Donatella Giagnacovo, Silvia Levenson, Patrizia Molinari, Elly Nagaoka, Beatrice Pasquet, Natalia Saurin, Ketty Tagliatti, Barbara Uderzo.

Ognuna di loro ha realizzato un disegno sul tema del cibo che è stato stampato sulla mattonella quadrata di ceramica. Il disegno è accompagnato da una ricetta dell’artista. “Ricette del cuore” che coniugano emozioni, memoria e gusto: Il cibo racconta sempre qualcosa in più di quello che appare. È portavoce di storie ritrovate in cui il cammino delle civiltà e i suoi drammi e i momenti di gloria, sono tutti ingredienti che, uniti alla materia prima, ci portano ad ampliare una riflessione che non è solo gastronomica. Il cibo è legato, poi, alla creatività. Anche la storia dell’arte, come sappiamo, è gustosamente intrecciata con la cucina fin dalle avanguardie storiche quando, con il manifesto della cucina Futurista pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1931, nasce un nuovo impulso a creare “bocconi simultaneisti e cangianti”.

a cura di Manuela De Leonardis

La collezione intera resta disponibile per sostenere la raccolta fondi del Mubaq Museo dei bambini L'Aquila presso la sede di F'Art, Via San Francesco Di Paola 13, 67100 L' Aquila.

Si riceve su appuntamento  è  anche possibile l'ordine online.





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Mutevole

la mostra personale di Giulia Spernazza

Un percorso espositivo che esplora il lavoro recente di Spernazza, frutto di una ricerca da sempre orientata ad indagare attraverso l’arte la dimensione interiore dell’essere umano, la parabola tra luce e ombra dell’esistenza, le vibrazioni profonde e nascoste che legano indissolubilmente gli uomini alla natura. È un’arte del silenzio la sua, una pratica che si sottrae all’urgenza contingente dell’attualità e si fa assoluta, nutrendosi di domande che accompagnano l’umanità dall’alba del suo cammino su questa terra, innestandosi su un percorso parallelo condotto tra filosofia, poesia e letteratura e che informa la sua poetica liberandola dalla dimensione spaziale e temporale del hic et nunc a favore di una cifra universale che dialoga intimamente e personalmente con ognuno di noi.

Attraverso un linguaggio essenziale che prescinde dalla raffigurazione, dalla rappresentazione e dall’immagine di cui è saturo il nostro tempo, in una costante evoluzione formale, Giulia Spernazza sperimenta tecniche e materiali, declina in un’armonia lieve la relazione tra spazio e opera e tra quest’ultima e l’osservatore immergendo il pubblico in un’atmosfera sospesa e silente. Tra opacità e trasparenza, tra luminosità e oscurità, l’arte rende qui visibile la mutevolezza di ogni cosa e dunque la necessità di interpretare il cambiamento come condizione fondamentale dell’esistenza, di sciogliere i ‘nodi’ che ne ostacolano il placido fluire in un processo di trasformazione sempre in fieri.

La mostra sarà visitabile fino al 5 novembre 2022, dal lunedì al sabato, ore 17-20.

Giulia Spernazza è nata a Roma nel 1979. Dopo aver conseguito il diploma di Liceo Artistico, nel 2008 si laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma. Espone in permanenza alla Galleria d’Arte Faber (Roma) e collabora con diverse Gallerie tra cui la Galleria Artistica (Forlì), SCD Textile & Art (Perugia) e la Galleria Amanei (Salina). Tra le mostre recenti Ex Voto per arte ricevuta presso il Museo Marino Marini di Firenze; Premio Arteam Cup, Villa Nobel, Sanremo; IV Biennale del libro d’Artista, Fondazione Monti Uniti di Foggia; Borderline Festival, a cura di Erika Lacava. Del 2020 la sua personale Strati d’animo, a cura di Anna Lisa Ghirardi, presso il MuSa Museo di Salò e Memories to preserve, a cura di Barbara Pavan, a SCD Textile & Art Studio di Perugia. Nel 2021 realizza delle Installazioni site-specific nella mostra Terrapromessa per il Festival delle Arti Contemporanee IlluminAmatrice, ad Amatrice, e per la III Edizione di Todi Open Doors, promosso da Associazione ArtOut, Todi (PG). Le sue Opere sono state acquisite in permanenza dal Museo Michetti (Francavilla al Mare) e dalla Civica Raccolta del Disegno di Salò (MuSa). Nel 2021 la Galleria d’Arte Faber di Roma ha ospitato la sua mostra personale Vulnerabile. È tra le artiste del Salone Italia, 25WTA World Textile Art, al Museo del Tessile di Busto Arsizio.

a cura di Barbara Pavan



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Segni Trame Sogni

CATERINA CIUFFETELLI   DONATELLA GIAGNACOVO   SILVIA GIANI

a cura di  ANGELA CIANO





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Una mattina mi son svegliato

liceo artistico F.Muzi L'Aquila

VA Arti  Figurative

a cura di Donatella Giagnacovo

Spesso si dice che nei tempi andati la guerra era guerra di eserciti, con l’invenzione di armi sempre più sofisticate, la guerra è diventata guerra di popoli. Nulla di più falso. La guerra, da sempre, è guerra di popoli. Persino quando Caino uccise Abele, tutta l’umanità ne fu coinvolta. Erano solo i loro genitori? Erano tutti. Picasso mette in evidenza tutto questo, utilizzando la tecnica cubista, l’unica, a suo parere, benché lontana nel tempo dallo stile da lui inventato, a rappresentare la “vera realtà” della guerra: la prospettiva è luogo, è vita, il colore è vita, tolta la prospettiva e il colore, resta solo la morte.

La guerra protegge solo sé stessa.

La guerra non ha vincitori, nel suo autoalimentarsi travolge tutto e tutti. Ignari del perché e del come, esseri indifesi, dall’una e dall’altra parte, vagano verso mete indefinite, estranee e sconosciute. L’ignoto fa paura e ci si aggrappa al conosciuto: poche cose messe in fretta in un trolley, una foto, un cuscino.

“Ci riposeremo.”

Occhi stanchi cercano sonni e sogni impossibili, diventano incubi che si materializzano negli urli di un cavallo ferito, di una mamma che offre al mondo il figlio morto, simbolo di tutte le guerre. Anche la pietas, così evocativa di sentimenti umani, china il capo all’ empietà dei dominatori nascosti nell’ombra. La fila di una umanità indistinta, vaga in cerca di un’altra ombra, quella che potrebbe salvare almeno una qualche intimità, in un rifugio improvvisato o costruito pensando ad una prossima guerra.  Ma non è più il tempo delle ombre, del privato. Potenti bagliori illuminano la notte: flash di grandi cineprese riconducono lo smarrimento nel turbinio globale della notizia, che è guerra essa stessa. Come in Guernica la luce della lampada non illumina nulla, le schegge di luce sono armi esse stesse, così gli scatti fotografici di insensate carneficine, amplificano il dolore. Il dolore appartiene all’umanità intera, ma sono le donne a doverlo esorcizzare, accollandoselo tutto, poggiando il capo su un cuscino, abbracciando l’incubo nella speranza, spesso vana, che non possa più sfuggire.

Giuseppina Vecchioli





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Di Bianche Spine

Bianco = purezza – luminosità -  energia - speranza. Bianco =  vita.

Più che per gli altri colori, pensare al bianco è pensare ad una serie di aggettivi che rimandano ad altro e oltre il semplice effetto cromatico.  Per il padre dell’astrattismo Wassilly Kandisky il bianco è dato dalla somma di tutti i colori dell’iride che si annullano in esso. È come un muro di silenzio assoluto, dove non percepiamo emozioni, un colore paragonabile a un non – suono. Ma è proprio questa neutralità che lo rende ricco di energia potenziale da spendere per il futuro; è proprio questo suo essere pausa tra una battuta e l’altra, nell’esecuzione musicale per esempio, ad essere preludio di altri suoni e quindi di altra energia, di altra vita. Quanto di più vicino e simbiotico c’è con l’idea più intrinseca e vera della donna. L’unica in grado di dare nuova vita.Per questo il bianco è il colore della donna, del suo viaggio nella condizione umana ancora oggi irto di spine ma anche di continue rinascite.

“… di bianche spine” è il titolo dell’installazione artistica di Donatella Giagnacovo …. che è un viaggio – riflessione sulla condizione della figura femminile nel terzo millennio.  In un periodo in cui alcuni stereotipi sembrerebbero superati, il potenziale comunicativo del gesto artistico di una donna li fa riaffiorare con tutta la loro urgenza e drammaticità. E non si tratta solo di un nuovo modo di pensare alle forme di violenza più tragiche, che troppo spesso sfociano nella morte e che pure hanno un loro portato necessario. Nella sua ultima ricerca Donatella Giagnacovo non si ferma solo a questo, con la sua sensibilità di artista e donna, di moglie, madre ed educatrice, scava in profondità cercando di far riaffiorare la condizione vera in cui si trova a vivere ogni giorno la donna del terzo millennio. “L’arte come evento e azione – scrive Gianluigi Simone sulla Giagnacovo – che si inserisce nella quotidianità, senza separazione tra spazio estetico e spazio sociale, tra mondo reale e dimensione artistica”. Nascono così opere che in un’apparente leggerezza di forma e materia “indagano il mondo femminile con un lessico narrativo che ha in comune la scelta del bianco ma non come resa al colore, bensì come necessità: il bianco come luce per illuminare le ombre e le oscure proiezioni che si riflettono sull’essere donna, il bianco di cui si impregna la materia e che da essa arretra per lasciare il posto al valore espressivo della forma”. Ed allora temi come la donna oggetto, la sposa bambina, la donna succube o stereotipo di bellezza ma non intelligenza, la donna violentata, aggredita ed infine trucidata tornano di un’urgenza che prende allo stomaco guardando le opere di Donatella Giagnacovo. Opere che attraggono lo sguardo per la loro immediata leggerezza e per il loro nitore; ma che al tempo stesso lo inchiodano alla riflessione e alla presa di coscienza. Una dialettica continua in cui il pensiero/gesto dell’artista si serve di materiali evanescenti e diafani: veli, pizzi, trine, nastri, fiori, peluche, piume e di quelle iconografie che fanno parte del mondo femminile fin dalla nascita. Ma esse, attraversate dal pensiero e dalla sensibilità dell’artista, perdono la loro forma sterile trasformandosi in strumento in grado di produrre senso, di generare un pensiero nuovo. Nascono così la valigia di peluche o il vestito della sposa bambina realizzati in cemento, le scarpe solo apparentemente vezzose, tempestate di spilli e immerse anch’esse, in una colata di cemento; si materializza così in tutta la sua ingombrante presenza il vestito di velo trasparente, desiderio di chissà quali promesse, che una miriade di spilli al posto delle cuciture lo rendono un oggetto spettrale simbolo di ancestrali soprusi. E poi ci sono i busti/corazza e le maschere/ prigione in plastica trasparente, in garza … oggetti leggeri ed impalpabili … depurati fino all’astrazione e realizzati con materiale di recupero che, in un rimando ideale al ready made duchampiano, sottolineano la loro presenza ingombrante, diventando attraverso il fare artistico, sinonimi di gabbie ed involucri in cui da sempre sono costretti il corpo e l’anima di una donna.

Non tutto è perduto però “…di bianche spine” lancia anche un messaggio verso il futuro e alle future generazioni. E lo fa con oggetti apparentemente non sense. Sono le opere/ libri, anche queste leggere e immerse nella dialettica materia –forma, immagini ambigue ma anche positive perché invitano a scrivere nuove pagine. Invitano l’essere umano, donna o uomo che sia, a ridisegnare il suo ruolo nel rispetto delle prerogative e dell’essenza di ognuno. Ecco credo sia proprio questa la riflessione finale di Donatella Giagnacovo sulla condizione femminile che, lungi dall’essere quella che tutte/tutti auspichiamo, deve però non rinnegare la purezza del bianco vitale che ogni donna porta con se fin dalla nascita.

a cura di Angela Ciano








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