Le opere - LUCO

Le opere esposte presso F'Art

Soma di  Jacobo Alonso


moduli di feltro in poliestere tagliato a laser, assemblati e cuciti a mano 
2020
cm120x70x20

Il corpo è il veicolo che ci avvicina e dà significato a qualsiasi nozione di realtà, fuori e dentro di noi,
questa l'abbiamo intesa come la nostra stessa materialità che ci compone come sostanza, e sia fuori che dentro questa sostanza o materialità, c'è un realtà invisibile in cui risiede la presunta sacralità, ma in entrambi i casi è sfuggente. Il mondo cristiano occidentale ha fondato la sacralità su un corpo che non conosciamo e che si consuma in un atto metaforico durante l'Eucarestia. In Oriente, la storia racconta che il corpo del Buddha fu distribuito in più di 80.000 templi come simbolo di sacralità. L'attribuzione che innumerevoli culture hanno dato al corpo come oggetto sacro, ne ha talvolta fatto una scatola chiusa, il cui interno si preferisce segreto e silenzioso, ed è solo attraverso il proprio sacrificio che può raggiungere l'illuminazione promessa, paradossalmente è il proprio corpo che limita o separa quella fusione voluta.

O silenzio di Elizabeth Aro


libro di fogli in cotone ricamati, leggio
2010-2021
cm 50x50x120

È un elogio del silenzio l’opera di Elizabeth Aro. Viviamo un’era che non conosce silenzio, una civiltà – e ormai non più solo quella occidentale – che aborre il vuoto e dunque anche l’assenza di rumore. Eppure il silenzio lungi dall’essere soltanto un suono mancato è la cifra della profondità interiore. "Il sacro è un fenomeno del silenzio" sostiene il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han che non trova spazio in un tempo senza consacrazione in cui l'iper-comunicazione, il baccano comunicativo sconsacrano e profanano il mondo. Nessuno sta in ascolto (cit.) L’artista sottolinea che in musica esso è un elemento essenziale per goderne l’ascolto e che astenersi dal parlare al momento giusto può assumere un valore e un peso maggiore di qualunque discorso e, ancora, che in esso è il presupposto della dimensione spirituale, di ogni meditazione e riflessione. John Cage sperimentò che in una stanza perfettamente insonorizzata udiva il battito del suo cuore e il sangue che gli scorreva nelle vene insieme al suo sistema nervoso. Partendo da queste premesse, Aro ha condotto la sua ricerca attraverso l’intensità del silenzio trovandovi un’armonia poetica in cui visioni e suggestioni hanno guadagnato un loro ordine naturale, facendosi sempre più chiare, evidenti, definite.

Nigra sum sed formosa di Pietrina Atzori


installazione di 6 tavole in canvas plastificato
cm 51x41
6 tavole in multistrato
cm  21x21
manipolazione

È un percorso attraverso il culto delle Madonne nere nel meridione d’Italia. Dalle Marche alla Campania, dalla Basilicata alla Puglia fino alla Sicilia, la manifestazione del sentimento religioso delle Madonne nere è ancora vivo e vitale, e nulla della contemporaneità è lontano dalla sua origine in quanto a spiritualità, devozione popolare e tradizioni. Nella restituzione di questo lavoro Atzori ha proceduto prendendo sei “Santini” di icone mariane, cartoncini devozionali, che ancora oggi le persone portano nei loro portafogli, e, realizzati gli scatti fotografici dei santini ha manipolato l’immagine di ciascuna delle Vergini raffigurate. Apportando dei cambiamenti minimi, ma significativi, alle tonalità degli abiti e soprattutto al colore dell’incarnato, si dichiara che tutte possono essere alla stregua di madonne nere poiché la fede colma il bisogno di spiritualità indipendentemente dal colore della pelle. Una sorta di operazione di creazione di nuove immagini a cui essere devoti in cui si va oltre il concetto di vero o falso e si afferma la vera autenticità a partire dal sentito e dal percepito. Un successivo passaggio è stato
quello della stampa su canvas plastificato delle icone “reincarnate” per adornarle con un ricamo fatto a mano con fili d’oro e perline preziose. L’opera si completa con i sei santini originali, che impreziositi da una trina contemporanea sono restituiti singolarmente su tavolette di legno. Le sei tavole ricamate dialogano così con i santini originali, specchiandosi nelle loro differenze e ammiccandosi complici verso chi le osserva. Infine, con la tavola in pizzo dorato viene presentata la selezione delle vergini; quelle che tra tutte in Italia, sono protagoniste tutt’ora di un culto speciale ed appassionato, caratterizzato da festeggiamenti e celebrazioni che si rifanno a ritualità antiche e credenze popolari, di cui spesso si è persa la traccia concreta ma che unisce profondamente la comunità in epifanie tra sacro e profano. Sono: la Madonna nera di Loreto (Marche), la Madonna incoronata di Foggia (Puglia), la Madonna della libera di Moiano (Campania), la Madonna nera di Viggiano (Basilicata), la Madonna di San Severo (Puglia) e infine, la Madonna nera del Tindari (Sicilia). (P.A.)

Maschera del Dottor Bobby Block (retro) di Cenzo Cocca




filo, pastello acquerellabile, inchiostro, collage
2023
cm 27x46x3

Le due maschere affrontano il tema del Sacro e della Memoria, passando attraverso le Neuroscienze. Il punto di partenza perla costruzione sono le forme e le linee delle maschere tradizionali sarde e di altri popoli del Mediterraneo, che in questo caso sono state utilizzate per creare una nuova serie di opere raffiguranti personaggi inventati della società attuale. La maschera ha due parti: un davanti, che si presenta con più semplicità rispetto ad un retro molto più elaborato e carico di pensieri appuntati con carta, penna, inchiostro e filo. Il retro raffigura la nostra esperienza di vita, le nostre emozioni e inostri pensieri, e i nostri conflitti. Il davanti richiede meno sforzo da parte dell'osservatore poiché si trova davanti ad un volto nel quale riesce ancora a vedere due occhi, un naso e una bocca ben definiti.
Sappiamo che l’apprendimento è il meccanismo grazie al quale acquisiamo nuova conoscenza sul
mondo, e la memoria è il meccanismo con cui conserviamo la conoscenza nel corso del tempo.
Fortemente attratto da tutto ciò che ruota attorno al tema della memoria personale anche in relazione all'altro, nella sua ricerca artistica e umana Cocca resta in ascolto di sè per far emergere l'essenza di ciò che per lui può essere definito sacro. L’educazione cattolica quasi radicale diffusa nelle famiglie del Sud è all’origine di un cortocircuito in questa ricerca di significato. E proprio dalla cultura del Sud nasce anche questa serie di opere. Da bambino infatti Cocca associa inconsciamente il Sacro unicamente alla religione cristiana per arrivare poi da adulto a separare i due concetti rielaborando contestualmente l’idea di Dio. Da tempo l’artista afferma che nel silenzio, nel suo cielo e soprattutto nella sua terra riconosce un suo spazio sacro e gli piace pensare che il rapporto con essa stessa lo sia, una stanza mentale nel quale prende forma e vita un pensiero che cerca riparo. Attraverso un alfabeto di simboli, segni e parole, Cocca gioca con significati che gli sono stati insegnati nell'infanzia reinterpretando e generando un nuovo linguaggio personale che lo protegga da ciò che non gli appartiene e che nontrova riscontro nei personaggi che nascono dalla sua arte. Proprio la parola è il mezzo attraverso il quale persegue la sua ricerca con grande consapevolezza e libertà: scritta, ricamata, cucita, la ritroviamo nelle maschere dove assume talvolta un accento poetico, talaltra ironico, di complemento o di contrappunto, restando un punto focale del lavoro di Cocca sin dal 2016. Esplicita o mimetizzata, diretta o nascosta, la scrittura gli consente di lavorare su diversi livelli di profondità e piani di lettura. Nelle maschere vi è una maggiore stratificazione rispetto alle opere antecedenti e un intento di sollecitare la memoria dell’osservatore e di condurlo attraverso un percorso fatto di segni evocativi, di allusioni emotive – un collage che è scrittura e pensiero al contempo. Il retro delle maschere suddiviso in spazi richiama l’organizzazione in stanze/luoghi delle planimetrie che l’artista ha cucito fino al 2021. Anche qui ritorna il concetto di abitare declinato nella dimensione della memoria e dei pensieri che albergano dentro di noi. (C.C.)

Hommes Et Dieux di Barbara D'Antuono


cm.95x63
2022

"CRU SI FICTION?" (crucifixion) è il titolo della prima opera in mostra e in francese, lingua in cui si esprime l'artista, è un jeu de mots ovvero un gioco di parole in cui la stessa fonetica assume significati differenti (in italiano: Creduto se finzione? - crocifissione). Insieme con la seconda - "DESHOMMES ET DES DIEUX" (uomini e dei) - fanno parte della serie Creatures des terres minées (ovvero créatures déterminées) un altro jeu de mots (creature delle terre minate - creature determinate). Entrambe mettono in discussione la capacità o la possibilità dell'uomo contemporaneo di avere fede in un mondo in cui si è costantemente sommersi da informazioni e immagini spesso contraddittorie, in cui la realtà é diventata sfuggente e tutti i sistemi valoriali sono stati scardinati e sconvolti. Sacro e religione non coincidono più e la distanza tra quest'ultima e la ricerca della spiritualità si è sempre più ampliata. Cosa resta dunque all'individuo dell'educazione religiosa che ha ricevuto nella fase formativa, che ha permeato la cultura e la società in cui è cresciuto e ha vissuto (quella cristiana, ad esempio, nello specifico) quando non ha più fede? Quali sono gli idoli, le icone, quali i novelli guru che si innestano nei vuoti lasciati dalla perdita della fede? In cosa crede, in cosa può ancora credere l'uomo contemporaneo in equilibrio tra finzione e realtà, tra scienza e tecnologia?


Angeli di Monica Giovinazzi


ferro, stoffa

Si annida tra le pieghe di lino antico e di tessuto intriso di altre vite il significato delle opere di Monica Giovinazzi la cui ricerca esplora l’inquietudine dell’uomo che si confronta con la propria fragilità, la fugacità dell’istante, l’impermanenza della propria esistenza, la precarietà della sostanza di cui è fatta l'esistenza stessa. Nello s-piegarle si svela il tema e il filo conduttore di un percorso che parte dalla prima delle Elegie duinesi di ReinerMaria Rilke, di cui l’artista condivide l’interpretazione della figura angelica, e attraverso la parola – poesia, filosofia, letteratura - approda fino alle intelligenze separate, le nature angeliche del Dante del Convivio. Un ‘sentiero’ intellettuale, emotivo e spirituale colto, profondo e raffinato che si snoda tra le pagine morbide che diventano ali o libri o grumi in bilico tra l'intreccio del filo di ferro; frammenti di una antologia del mistero, il tentativo di far luce nell’oscurità dell’abisso dentro il quale tutti gli uomini, in ogni epoca, hanno provato a guardare. In quel territorio indefinito tra visibile ed invisibile l’uomo ha spesso invocato la presenza di entità in grado di abitare entrambi i mondi, lo spazio conosciuto e l’immensità dell’insondabile, figure che nella mediazione tra l’uno e l’altro portassero consolazione e speranza alla spaventosa solitudine della consapevolezza dell’ibrido umano. Degli angeli, gli uomini hanno immaginato e scritto per secoli, attribuendo loro forme, nomi e
caratteristiche diverse, conferendo natura divina, ideale, metaforica, spirituale, raffigurandoli ora fedeli compagni di viaggio, ora protettori contro le forze oscure o, ancora, incarnazione di affetti perduti; sempre messaggeri tra la dimensione reale ed un altrove sconosciuto e incerto e infine auspicabilmente possibile.

Pietà di Florencia Martinez


cm 61
2023
tessuto, cuciture

In un saggio dedicato alla fiaba, Cristina Campo scrive: “A chi va nelle fiabe la sorte meravigliosa? A
colui che senza speranza si affida all’insperabile” introducendo un’analisi della differenza tra sperare e affidarsi, il primo figlio dell’attesa della fortuna mondana, la seconda di una virtù teologale. Chi si affida – prosegue – non conta su eventi particolari perché è certo di un’economia che racchiude tutti gli eventi e ne supera il significato. Affidarsi dunque presuppone la complicità dell’altro –comunque lo si intenda – la cui empatia è tale da consentire di abbandonarci, di consegnarci fiduciosi nelle sue mani. Florencia Martinez prosegue con quest’opera l’esplorazione della natura delle relazioni, una ricerca che l’artista argentina ha avviato da tempo partendo dall’abbraccio indagato nella pluralità delle declinazioni, non ultima quella miracolosa della reciprocità, fino ad approdare all’asimmetria relazionale tra gli individui, causa o conseguenza di una mutilazione emotiva o sentimentale. Approda infine alla sfera spirituale, ispirata dalla michelangiolesca Pietà Rondanini, rappresentazione dell’assolutezza dell’empatia che fonde madre e figlio nel medesimo dolore, in un unico corpo senza soluzione di continuità. In quell’abbandono nelle braccia di Maria, in quella presa che sorregge Gesù con tutta sé stessa, Martinez identifica la perfezione dell’affidarsi, la più sacra, la più spirituale delle relazioni possibili, il superamento della paura, dell’ego, del primato dell’io/mio fino a donarsi gratuitamente per accogliere l’altro. La Pietà è la vittoria dell’uomo sulla propria solitudine.

Sueños fugaces di Miriam Medrez


struttura metallica, tessuto e fili
cm 29 diametro

Miriam Medrez ha a lungo lavorato con la ceramica prima di orientare la sua sperimentazione artistica verso il medium tessile. “Trovo molte analogie tra la ceramica e l'arte tessile, poiché entrambe richiedono l'abilità della mano, entrambe consentono di ‘sentire’ i materiali che costruiscono dal vuoto. Inoltre, l’una attraverso il fuoco e l’altra attraverso il filo, trasformano la loro apparente informe fragilità acquisendo al termine del processo solidità, forma, forza” dice. E in effetti materiali e tecniche tessile le consentono traiettorie narrative immersive e che evocano gesti e significati ancestrali capaci però di filtrare e distillare riflessioni sulle istanze della contemporaneità: rammendare, suturare, vestire, riparare, avvolgere sono gesti che costituiscono un vocabolario che arricchisce e approfondisce il progetto creativo al centro del suo percorso in cui la figura femminile è allo stesso tempo una e molteplice, primitiva e all’avanguardia. ll suo lavoro ha sempre una prospettiva femminile, conforme o oggetti cui le donne sono associate - come quelli di uso comune: cucchiai, abiti, sedie e così via. “Quando modello l'argilla, taglio o piego un tessuto, partecipo anche come Donna. Diamo alla luce bambini - come tutte le narrazioni sugli dei che creano gli esseri umani dall'argilla - e li "plasmiamo" - li alleviamo per crescere come individui. E attraverso i tessuti, sento la relazione speciale che le donne hanno con i vestiti, la nostra seconda pelle, e con le nostre case.” Le due opere della serie Sueños fugaces riconnette tutti questi elementi ad una memoria arcaica che riaffiora talvolta fugacemente nello stato di incoscienza del sonno. Un legame ancestrale con la terra, fili invisibili che ci mantengono in
sintonia con l’energia del pianeta, con il ritmo delle fasi lunari, con le forze che governano la natura.

Sette cieli di Saba Najafi


2023
fili di cotone, di lana e tessuto
misura variabile
tappeto cm 60 diametro

Nella cosmologia mitologica, i Sette Cieli si riferiscono ad altrettanti livelli o divisioni dei cieli. Il concetto, presente anche nelle antiche religioni mesopotamiche, si ritrova in forme simili in molte religioni. A ciascuno dei Sette Cieli corrisponde uno dei pianeti conosciuti nell’antichità: la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove e Saturno cui sono attribuite caratteristiche metafisiche e divine diverse. L’installazione è composta da sette nodi - ognuno rappresenta un pianeta - appesi al soffitto su un tappeto rotondo in sette tonalità degradanti, dal blu all'azzurro .L’opera nasce dal senso di impotenza e di fragilità di fronte all'orrore generato dalle guerre, dalle tirannie, dalle ingiustizie di cui l'umanità è vittima e artefice al contempo e le cui conseguenze ricadono anche sul nostro pianeta. La convinzione che i cieli possano influenzare gli accadimenti sulla terra alimenta la speranza simbolica che qui ad essi si annoda, un nodo alla volta a rappresentare i desideri di pace e di salvezza in un rito che evocale credenze tradizionali e religiose iraniane dove i nodi si usano nei luoghi sacri per chiedere la grazia e si crede che il nodo si scioglierà una volta ricevuta. Ecco dunque che ognuno di essi è una silenziosa richiesta di grazia rivolta ad un cielo.

Pathos di Giulia Nelli


2023
collant nero e filo di rame
cm 70x50x30

La ricerca di Giulia Nelli indaga la relazione dell'uomo con l’ambiente naturale e sociale in cui vive,
nella convinzione che sia necessario ricostruire i legami che, resi liquidi dai nuovi mezzi di comunicazione, necessitano di trovare nuovo senso nella vita reale. L’uso dei materiali tessili (i collant) le consente di esaltare il ruolo del gesto e della manualità, mettendola in contatto diretto con la materia.
Il tessuto dei collant viene smembrato, secondo una tecnica di rottura e di scomposizione cara all’arte contemporanea, e ricondotto all’elemento basilare, il filo, che viene lavorato per costruire nuovi equilibri e armonie. Fare, disfare, annodare e riannodare è la storia e l’immagine della vita, è l’abilità che permette alle donne delle mitologie di tutte le popolazioni antiche di ricongiungere in un’unica trama emozioni, parole e silenzi, storie e legami, memorie e speranze per il futuro. Pathos si ispira al momento della deposizione di Cristo dalla Croce, un episodio nella cui rappresentazione convergono una pluralità di relazioni. Il compimento di un destino si fa qui per alcuni misura della fatica quotidiana, per altri testimonianza dolorosa, per altri ancora atto di fede. L'opera è intrisa della tensione e della fatica degli uomini che si caricano il peso del corpo e lentamente insieme lo adagiano mentre sostengono il confronto con la verità della morte. Nella visione dell'artista l'umana esistenza è un processo che evolve ad ogni istante, un giardino da coltivare con cura e che può dare frutto solo se disseminato di legami forti, autentici, coinvolgenti e collaborativi e illuminato da un filo di speranza in un ordine superiore, che ci guidi e dia senso ai nostri sforzi.

Solidità di Elena Redaelli

2020-22
carte fatte a mano da carta riciclata e fibra naturale, grafite, filo da cucito nero

Quest’opera è parte di un progetto più ampio, realizzato perla prima volta nel 2020 ed ancora in corso, che prevede un ascolto profondo del paesaggio e unisce pratiche collettive di esperienza fisica a una rielaborazione grafica del territorio. Si tratta di un frammento materiale di un momento sospeso durante il quale il contatto con la montagna e le sue forme ha riempito un vuoto. Non serve cercare se si ha un sasso.

Esercizi di Volo di Beatrice Speranza


stampa su  carta cotone, ricamo in filo di lana e china bianca

Gli Esercizi di volo fanno parte del progetto Sono fatta per volare. Beatrice Speranza è sempre stata attratta dalla ricerca di leggerezza, un desiderio di elevazione attraverso il quale ha compreso l'importanza di portare il cielo in terra. Singole opere, che nel loro insieme, creano un’installazione
di nuvole realizzate con stampe fotografiche ricamate all’apparenza molto leggere ma in realtà ben
radicate a terra con le loro basi in legno disegnate e realizzate dall'artista stessa in collaborazione con maestri tornitori e rifinite con sottili profili in acciaio. Ogni opera sul retro ha scritti a mano frammenti del “Il poeta dell’aria” di Chicca Gagliardo con cui l'artista condivide un comune sentire.

The pain of emptiness di Elisabeth Tronhjem


cm 136x50x65
legno, ferro
2015

In una società che ha nel consumo la sua pietra angolare, tutto è trasformato in prodotto, incluso l’essere umano che in questo processo diventa esso stesso merce e rapidamente rifiuto. Invisibile e dimenticato se non risponde o aderisce a un modello standardizzato dettato dalla società, dal mercato, dall’economia, dalla finanza o dai fattori che fanno di un individuo un consumatore, l’uomo diventa un contenitore vuoto da riempire di prodotti, informazioni, servizi. A questa cancellazione della dimensione unica e caratteristica della nostra essenza è ispirata l’opera di Elisabeth Tronhjem che solleva la riflessione sulla natura della nostra umanità. Cosa rende tale un essere umano? Non è forse proprio nel mistero che si manifesta nel corso di ogni umana esistenza che si cela il sacro? È, ad esempio, nella scintilla che innesca il processo creativo dell’arte o nell’arcana alchimia che all’improvviso avvicina un’anima ad un’altra. Privato della sostanza intangibile – emozioni, sentimenti, paure e desideri, sogni e progetti, spirito e cuore– cosa rimane dell’uomo?

HIFUMI di Yukoh Tsukamoto

2023
tecnica mista, legno, carta washi, polvere di conchiglia e foglia oro
installazione cm 120x150 composta da 20 moduli di 30x30 cm

"HI FU MI..... il modo tradizionale giapponese di contare i numeri. Quando il celebrante canta la preghiera liturgica "HI-FU-MI"si attiva il potere della parola 火"hi" (fuoco in giapponese)che accende il fuoco del mondo, della creazione. Il potere del 火 Hi (fuoco) e quello del 水Mi (acqua in giapponese) vengono invocati dai suoni HI-FU-MI. 風FU è il vento, cioè è l’aria, che collega il fuoco e l’acqua
風FU fa sviluppare il fuoco, mutare il fuoco che crea il suono e poi l’acqua. La combinazione di 火 HI (fuoco) e 水MI (acqua) che sono collegati da 風FU(vento). Il potere dei tre elementi fa nascere tutte le creazioni dell’universo. La radice di tutto è Il fuoco, il vento lo fa sviluppare e poi fa nascere il suono e l’acqua." Y.T. La sacralità della Natura in quanto dimora dei Kami è elemento essenziale per Yukoh Tsukamoto, artista shintoista che considera la creazione artistica una via spirituale in cui la mano è strumento attraverso il quale la Natura stessa definisce la forma dei suoi elementi. Ritraendola - rielaborata, interpretata, resa essenziale, astratta o simbolica - l'artista introduce l'osservatore nel proprio alfabeto sacro. In Hifumi ひふみ converge la ricerca della forma e di ciò che ne è privo - il vuoto, la matrice. Ha scritto Teresa Lavezzari: "la bellezza dell’essenzialità e della purezza (Kiyome) si
esprimono in un universo di luce. Sullo sfondo luminoso si coglie la presenza di forme eteree, dipinte con polvere di conchiglia rosa e svelate da lampi di luce generati da un uso sapiente della foglia oro (Amaterasu, Dea del Sole)." Nel silenzio necessario affinché ciò che non è manifesto si riveli, l'osservatore intuisce la presenza dell’Assoluto attraverso un processo emozionale che scorge la sacralità non con gli occhi ma con il cuore.



L'opera esposta a Palazzo Lucentini Bonanni 

Ombra pericolosa (particolare) di Carla Crosio


installazione in progress misura ambiente
rete metallica e plastica riciclata
2023

Un’ombra nera si allunga impercettibilmente stendendosi fino a ricoprire e ad invadere lo spazio del cortile, luogo di incontro e di passaggio della vita individuale e comunitaria, accesso che introduce dalla dimensione sociale a quella domestica, famigliare, intima. È un’onda cupa generata dalla coscienza inaridita di questo tempo fatto di uomini che non conoscono altro limite che sé stessi; è la somma delle forze oscure che incontrastate dilagano, che stringono man mano l’intero pianeta in un abbraccio mortale insinuandosi tra l’uomo e i suoi simili e tra questo e le altre specie e la terra stessa. Si annidano nelle pieghe di quest’ombra pericolosa assumono sembianze mutevoli e diverse seppur sorelle indistinguibili: la guerra, lo sfruttamento fino all’esaurimento di tutto ciò che è oltre il perimetro di interesse individuale –l’altro da sé, le creature viventi, le risorse naturali – la sopraffazione del più debole, del più indifeso, del più povero e, ancora, un consumo vorace e insaziabile che usa e abusa di tutto ciò che è disponibile, che divora il tempo della vita stessa – eventi, emozioni, sentimenti – e che ha negli scarti e nei rifiuti il suo primo prodotto. L'antropocentrismo ha privato l'uomo di Dio e, come ha scritto recentemente Marcello Veneziani, ne ha fatto un analfabeta spirituale, incapace ormai non più solo di mettersi in contatto con il divino - qualunque idea se ne abbia – ma persino con se stesso.
Sordo e cieco, immerso nel frastuono e nella velocità delle società in cui vive, egli si è smarrito nel fluire del buio che lentamente avanza. Eppure, l’opera di Carla Crosio parla anche di speranza, di quel rovesciamento della prospettiva in cui il moto di quest'onda appare di ritorno, in cui si intuisce persino la risacca che si infrange contro un elemento di resistenza. Dunque ciò che si dipana sotto i nostri occhi è in realtà la narrazione di una lotta tra forze contrarie che si contendono il nostro tempo, il movimento inquieto generato dai cambiamenti epocali che tutto travolgono e trascinano con sé. Dentro a questo magma scivoloso e informe dobbiamo saper cercare un appoggio sicuro da cui poterne esplorare i contorni, indagarne la sostanza. Ma è soprattutto dentro di noi che dobbiamo ritrovare gli strumenti per impedirgli di cancellare la coscienza ultima del mondo.



Le opere esposte in Galleria Italia

The dressed emptiness (dettaglio) di Michela Cavagna


sfridi, cimose in cashmere e lana, filato, fine ordito, campionario tessile, tubolare in foam
off loom, coiling
cm150x200x250
2023

In molte tradizioni religiose, tra cui Cristianesimo, Islam, Ebraismo, un angelo è un essere spirituale che assiste e serve Dio ed aiuta l'uomo lungo il percorso del suo progresso spirituale e della sua esistenza terrena. In quest’epoca dove forse mai prima d’ora l’uomo è lontano dal divino, silenziosi ed immobili, gli angeli hanno perso la capacità di svolgere i loro compiti fondamentali: annunciare la salvezza, confortare, custodire, lodare. Questi divini messaggeri, bloccati da tenaci cuciture sulla tela, giacciono come strani ex-voto abbandonati nel santuario dell’oblio, relitti delle speranze sovrannaturali alle quali l’uomo contemporaneo si affida sempre meno. Attraverso una sorta di intervento archeologico l'artista recupera questi frammenti di fede cui restituisce un contenitore lasciando all'osservatore la libertà di attribuirgli un significato personale qualunque esso sia. Ne nasce un corpus di opere che evoca la tradizione antica di appendere le immagini sacre - l'angelo custode, la Sacra Famiglia, il Sacro Cuore, ecc. - al muro e, in particolare, sopra al letto a vegliare sui propri cari indifesi durante il sonno proteggendoli dalle forze del male. Un rito scaramantico e apotropaico diffuso in tutte le culture con formule diverse e che l'artista ci riconsegna in una forma svuotata del suo significato originale e risemantizzata attraverso il gesto artistico che lascia aperta la riflessione sul rapporto tra immagine e contenuto che permea questo tempo in cui i due elementi si sovrappongono e si fondono, in cui il secondo si diluisce nella prima talvolta evaporando all'interno del suo perimetro. Con i suoi angeli cuciti Fermina pone il visitatore davanti ad alcuni di questi contorni/contenitori del cui significato autentico che servivano non si ha più memoria o consapevolezza interrogandosi su cosa cerchiamo e cosa vediamo di noi, di ciò che siamo e di ciò che crediamo quando in essi ci specchiamo.

Muta preghiera di Donatella Giagnacovo



Il Nobel per la medicina Alexis Carrell sosteneva a metà del secolo scorso che la preghiera fosse una necessità quasi fisiologica dell’uomo. Da qualche anno studi condotti da più parti sembrano confermarne gli effetti benefici sul cervello tanto da arrivare recentemente a parlare di prayer therapy che pare innalzare i livelli di serotonina e dunque essere in grado di contrastare alcuni stati d’ansia, insonnia, stress e depressione. È noto, d'altra parte, che la ritualità dei gesti e delle parole abbia nella sua ripetizione talvolta quasi meccanica un potere catartico e laddove essa si identifichi per l’individuo anche come il mezzo di connessione con la dimensione spirituale - o come il veicolo attraverso il quale superare la solitudine della consapevolezza della morte che è all’origine dell’esigenza di credere - ecco che essa assume un carattere consolatorio e infine persino terapeutico. Questa premessa conduce fino ai tre elementi che compongono l’installazione di Donatella Giagnacovo, che depurati fino all’astrazione e alla massima sintesi, - scrive l’artista - rinforzati nella narrazione visiva, da posture ieratiche e sublimati dalla scelta del bianco a rinforzo di uno svuotamento necessario sino all’essenza, si stagliano come sentinelle penitenti. Corpi incerti, fantasmi affrancati della certezza della propria consistenza tangibile o della propria identità oppure ritratti dell’essenza ultima della loro stessa umanità, essi si offrono all’osservatore in un raccoglimento assoluto, in un silenzio che - privo dell’eco di richieste, invocazioni,
ringraziamenti  - è un abbandono ristoratore. Resa indipendente dalla devozione, la preghiera diventa laica, muta, eppure ancora rifugio consolatorio dalle nostre fragilità.

Three weavers di Anneke Klein


stoffa, filo
cm 180

Come già aveva fatto in "Transient”, Anneke Klein indaga attraverso l’arte il senso di eternità perché – sostiene –prenderne consapevolezza può aiutarci a superare la portata del nostro pensiero sensoriale pur avendo contezza della nostra transitorietà, vulnerabilità e fragilità. Lo fa qui in un gioco di echi e di ribaltamenti speculari con un’installazione di tre elementi antropomorfi realizzati durante una residenza a Nuenen e ispirati ad un ciclo di opere di Van Gogh che qui nacque e che vi ritrasse, nel corso di un soggiorno tra la fine del 1883 e l’agosto dell’anno seguente, numerosi tessitori rurali, ovvero contadini che nei mesi invernali si dedicavano nelle loro misere casupole alla tessitura. Nel suo saggio ‘La vita delle cose’, Remo Bodei intorno alla caducità della vita cita Thomas Merton che scrive “la vita sfugge dalle nostre mani, ma può sfuggire come sabbia o come semente”. E – aggiunge - come semente la si coglie, appunto, nell’arte (...) Quasi un secolo e mezzo dopo che l’artista olandese ritrasse “De Wever”, Klein ne rielabora l’atmosfera e il senso dando vita a un’opera nuova. In una lettera al fratello Theo, Vincent descrive un interno con tre piccole finestre affacciate sulla vegetazione che fa da contrasto al blu del tessuto sul telaio e alla camicia del tessitore. Klein completa idealmente quella tessitura fatta di blu e dei colori della terra, dando forma a tre figure che riecheggiano le tre finestrelle del dipinto originale e che transitano sotto inostri occhi del XXI secolo, proseguendo un cammino iniziato altrove e che altrove condurrà. L’arte dunque ci rende partecipi e consapevoli di quella eternità o, per dirla ancora con Bodei, ci introduce (...) all’inesauribile nucleo di senso delle cose.

Spazi per corpi in attesa della trasformazione di Clara Luiselli


2017-2023
36 supporti di metallo
cm 120
disegni su fogli di carta opalina, filo di cotone rosso, calamite

Tratti sottili e mobili su fogli di carta opalina delineano corpi in contatto fra loro, tracciano labili confini fisici. Fattezze minimali, forme umane pure, private del loro contesto originario e di un qualsivoglia sfondo e messe a fluttuare in uno spazio vuoto. Sospesi. Attendono. Fiduciosi. Nuove opportunità di comprensione di tutto ciò che non è spiegabile. La loro comunicazione avviene attraverso punti uniti da un filo rosso, in un dialogo fluido e non definito a priori: si avvicinano e si allontanano, si uniscono e si separano con il tendersi o l’allentarsi del filo, con l’aprire o il ripiegare i fogli. La dimensione sensoriale dello spettatore è parte integrante dell’installazione: ciascun disegno è pensato per essere disteso, richiuso, ascoltato e osservato da differenti punti divista. È una relazione possibile, mai scontata o immutabile: basta un lieve, quasi impercettibile movimento della superficie o un leggero spostamento di prospettiva dell’osservatore, e le dinamiche interne alla coppia raffigurata si trasformano, fin quasi a stravolgersi. Il progetto nasce dall’osservazione di opere pittoriche di differenti epoche storiche che hanno come soggetto coppie di figure in contatto e che attraverso l’incontro tentano di comprendere il
mistero dell’esistenza.

Isteria e misticismo in sette annotazioni di Lucia Bubilda Nanni


Tulle e filo di cotone nero
disegno con macchina da cucire meccanica a pedale elettrico

Maria Egiziaca fa parte di un più ampio progetto iniziato nel 2017 e tutt'ora in fieri: Isteria e Misticismo in sette Annotazioni, ovvero cinque donne, un uomo e una poesia (Maria Egiziaca, Teresa d'Avila, Rosa da Lima, Teresa di Lisieux, Gemma Galgani, Pier Giorgio Frassati, Promemoria di Matteo Marchesini). L'esperienza mistica è un' esperienza del corpo e tre sono stati i cardini da cui è partita l'artista: le foto di Charcot (i suoi studi sulle isteriche), l'iconografia religiosa, il monito di Elemire Zolla in Mistici Occidentali (il mistico non è un malato). Li ha intrecciati e indagati nel qui e ora, nel contemporaneo, nella vita delle persone. Ha preso alcune figure mistiche esemplari della religione cattolica (leggendo diari, scritti, biografie) e ha cercato di incarnarli nell'esperienza, restituendone la presenza del corpo. Sono uomini e donne che ha conosciuto e che ha scelto intuitivamente per verificare le condizioni di possibilità dell'esperienza mistica. Cosa possiamo chiamare oggi esperienza mistica? Una scelta, una malattia, un esercizio, una credenza? Ogni Annotazione (così ha chiamato le diverse fasi del lavoro) ha il suo sfondo storico, una comparazione, suoi personaggi (reali e immaginari, morti e vivi). Prima ricerca di Nanni sul corpo umano, sul gesto, sulportamento: quasi fosse una gabbia di Faraday, il corpo di giovani donne (Rosa da Lima, Teresa di Lisieux, Gemma Galgani) morte prima dei trent'anni, diventa il fulcro, inconsapevolmente, della loro ricerca mistica. La tensione, verso ciò cui trascende il corpo stesso, abbaglia e ferisce, bagliore interiore e piaga: una curvatura sacra che lede le innervature talmente, che queste donne richiedono di essere vegliate e giudicate da terzi. L'esempio più eclatante viene dalla biografia di Rosa da Limache si autodenuncia e richiede un inquisitore che la interroghi su ciò che sa e su ciò che fa. In Mistici occidentali Elemire Zolla sottolinea l'errore di chi traduce la mistica in patologia: l'artista si è fermata qui, in quell'errore, da vagliare, sperimentare, verificare,
comprovare, quasi che la sua prassi artistica potesse popperianamente verificare o falsificare quella
premessa. Certo, un'illusione, un gioco, un rompicapo che ha cercato di condurre in modo rigoroso;
intrecciando letture e interpretazioni, interrogando la storia e i morti in un colloquio privato, ma saltando di gioia ogni qualvolta, tra i vivi, neri trovasse traccia e forme, e così è successo trovando
Alos (la sua Maria Egiziaca). La leggenda vuole che la mistica peregrinasse più di trent'anni nel deserto, avvolta solo dai suoi lunghi capelli e da un mantello (dono di Zosimo) e venisse seppellita
da un leone. Alos, è il progetto solista di Stefania Pedretti, una musicista nata in un piccolo paese della Brianza, che fece, più di vent'anni fa, la scelta radicale e anticonformista di diventare vegana (scelta che guida ogni ambito della sua vita) e diportare lunghi dread fino a piedi. Nella musica di Alos, così come in quella degli OvO (duo band a cui appartiene), sono presenti litanie ed elementi performativi che invitano a danze e gesti rituali. L'artista ha incontrato Stefania per strada, le ha guardato i capelli e le ha chiesto se potesse posare per lei.(L.B.N.)

L'attenzione più quieta e lungimirante (particolare) di Federica Patera e Andrea Sbra Perego


filo di nylon rigenerato, di acciaio, struttura in ferro
cm 200x200x200
2023

L’attenzione più quieta e lungimirante è il titolo dell’installazione della serie Roots che racconta il legame tra sacro e giustizia. In particolare, il titolo si riferisce a una delle numerose radici verbali che descrivono tale legame, spesso ambiguo e sfuggente, dando vita a circa quattrocento parole. √Man ha nel suo centro la parola mente, terreno neutro, e come un pendolo oscilla tra la mania, deterioramento della misura e carica di eccessi ebbri, e la mantica, l’arte della divinazione, che supera la facoltà razionale per capacità di comprensione e lettura dei segni mondani e che richiede l’attenzione più quieta e lungimirante. Allo stesso modo, le altre radici coinvolte nell’opera raccontano tale dicotomia, che culmina in un terzo elemento in grado di redimere il conflitto come un testimone superpartes: da un lato si trova lo stato ottimo di equilibrio, dall’altro la sua caduta, e in mezzo i rimedi giuridici che agiscono – √Ag spingere; ac-tio azione; ago gli atti del sacerdote durante la cerimonia sacrificale; agonium sacrificio; agonia – secondo le movenze del sacro. (F.P.e A.S.P)

Catartica (particolare) di Giulia Spernazza


installazione
2023
graniglia di marmo, indumenti, cemento
300x300 cm

La catarsi, dal greco katharsis (purificazione), è una cerimonia che si ritrova in diverse concezioni religiose e nella Grecia classica consisteva in un rito magico per ripulire il corpo e l'anima da ogni contaminazione. In psicologia equivale alla liberazione da una sofferenza e da un segreto attraverso un processo interiore (metodo catartico), teso a rimuovere le esperienze traumatizzanti e quindi a far riaffiorare alla coscienza gli eventi responsabili, rimuovendoli dal subconscio. Nella filosofia ha assunto un significato spirituale a partire da Platone, il quale con questo termine si riferiva alla purificazione dell'anima dai mali interiori. Nell’Opera questo percorso di trasformazione è espresso mediante il colore e la materia ma ancora prima la sua connotazione spirituale sta nella scelta di inscrivere un cerchio, forma simbolicamente associata alla trascendenza eal cielo, all’interno di un quadrato, figura geometrica che rappresenta emblematicamente la terra ma che veniva anche utilizzata in antichità come modulo dei luoghi sacri (tempio). Il “tappeto”, composto da graniglia di marmo, si ispira ai giardini zen, luoghi dedicati alla meditazione caratterizzati da un’estetica estremamente essenziale e minimale in cui ogni elemento è collocato in modo equilibrato e armonioso. In tal senso gli elementi posizionati sopra al quadrato, delle ciotole, sono equidistanti tra loro e formano tre cerchi concentrici, tre fasi che raccontano l’esperienza catartica attraverso il cromatismo e la materia colata all’interno. L’oggetto ciotola ha in Oriente una forte valenza simbolica, veniva infatti deposta ai piedi del maestro come simbolo della posizione interiore del discepolo di farsi vuoto per accogliere l’insegnamento ed era per tutti i monaci l’oggetto più sacro. Oltre al collegamento con la filosofia Orientale, la scelta di prendere idealmente a prestito un oggetto della realtà legato alla vita domestica per trasformarlo in una forma scultorea, si inserisce nell’ultima ricerca dell’artista incentrata sul concetto di casa e intimità. Lo spazio abitato viene dunque evocato con la scelta di un oggetto comune che normalmente contiene cibo o acqua e con la materia stessa di cui fatto, frammenti di indumenti che nel tempo sono entrati in contatto col corpo e quindi attraversati da affettività. Ognuna raccoglie del cemento colato, materiale edile caro
all’artista, che cambia colore e volume passando da un cerchio all’altro fino ad arrivare al bianco, al
vuoto e quindi alla purezza delle quattro ciotole centrali. (G.S.)

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